Scritto con Sus tra un anno e l'altro
Sarebbe un gesto di generosità estrema
spendere un certo numero di parole sui giudicanti. Spendere è il
verbo esatto alla fattispecie, in quanto il giudizio di cui si intende è una
forma di commercio.
Tutti esprimiamo giudizi, ma questo
dato di fatto non ci rende tutti giudicanti. Ci sono diverse categorie di
giudicanti. Ed è divertentissimo, ora, star qui a provare a giudicarli, senza
per questo diventare giudicanti. Ma il giudicante, nella pochezza del suo
intimo, questa differenza non sarà mai in grado di comprenderla. Perché,
appunto, è solo un giudicante.
Il giudicante numero uno, quello che più
fa uscire i semi dal seminato, le palle da biliardo dai tavoli, le talpe dalle
buche, le sigarette dai pacchetti morbidi e duri, è l’ex “peccatore”. Nome
della categoria: i convertiti.
Il convertito è colui che ha risolto, che
si è risolto. In sostanza, colui che ha trovato un sistema non condannabile –
da altri come da sé – di prendersi per il culo. Insomma, un peccatore represso
e sibillante. Uno che sa, anche quando dice di sapere di non sapere. E’
estremamente severo. Tanto più si dimostra indulgente tanto più è severo. La
sua indulgenza è crudeltà conventuale. Non ha dubbi perché non può
permettersi di dubitare, ma talvolta finge di farlo, perché la sua mente di
seconda mano ha assimilato la necessità dell'accettazione del dubbio, e allora
non ha dubbi sulla opportunità di dubitare, ma in effetti dice di dubitare
senza sapere di cosa dubitare. Se si lasciasse scivolare nelle
luminose discese di un punto interrogativo, nelle montagne rosse del simbolo
più onesto che l'uomo sia mai riuscito a concepire, correrebbe il rischio di
ritrovare la sua vera natura, quella di peccatore, e tornare a essere un
peccatore manifesto. Il giudicante categoria convertito sa
precisamente tutto quello che va fatto e tutto quello che non va fatto mai
e in nessuna circostanza, e se i suoi occhi che non guardano si rivolgono
a un cielo che non possono vedere nel tentativo di indicare incertezza al
guardante (che per solito è il giudicato) questo accade perché anche
l’incertezza in alcuni casi è qualcosa che va fatto. Non è uno stato
dell'animo, è un gesto.
La sua pietà è distanza, la sua
comprensione presunzione, la sua bontà assoluta incapacità di amare, di
giocare il gioco.
Il giudicante resterebbe una cosa innocua
e lasciante il tempo che neanche trova non essendo in grado di cercare ma solo
di frugare nei rifiuti di carte altrui, se non fosse per il fatto che esiste il
giudicato.
Allora adesso diciamo qualcosa sul
giudicato, vittima di questa categoria di giudicanti.
Il giudicato non vive in una categoria,
ma in uno stato dell’animo, che può essere eterno o - grazie al cielo o a
qualsiasi cosa fatta eccezione per il giudicante - provvisorio, e che deriva da
qualcosa di assolutamente inutile (ma politicamente socialmente e
religiosamente vitale) come il senso di colpa.
Se il giudicato non avesse da qualche
parte in sé questa immondizia del senso di colpa, il giudicante non potrebbe
metterglielo nonostante i suoi sforzi. Qui il verbo metterglielo è inteso in
due sensi, e l'oggetto è in entrambi nascosto. Nel primo caso l'oggetto è,
appunto, il senso di colpa. Nel secondo è il culo.
Tant’è. Portiamo allora il giudicato
fuori da questa parentesi senza odore e torniamo alla sua)
Paura.
La paura del giudicato non ha confini pur
avendo limiti in sé e per sè e questo la dice lunga sull’impossibilità di
governarla. E’ come una macchia d’olio, scivola lenta e inesorabile
invischiando il senso e le forme, a volte è così fluida e leggera da infilarsi
nei pertugi più intimi, dove l’anima nasconde la colpa e gli occhi si gettano a
terra, il cuore si stringe, si raccoglie inutilmente, e per lo sforzo
innumerevoli gocce di imbarazzo ricoprono, pietose, uno scacco annunciato.
La paura per il giudicato è come un vizio
in cui perennemente ricade, una dipendenza, un attaccamento, un accanimento, un
automatismo, ebbene sì, una perversione. Il senso di colpa lo stringe e lo
costringe, avvinghiandolo a sé come un amore finito e vivo solo di scelte
incompiute, di scelte non scelte, di sbagli per caso e per ciò irreparabili
perché il giudicato non sapeva, no, non sapeva, che uno sbaglio è per sempre e
l’errore è l’errare perché sempre ritorna.
Si racconta che Paura e Anima si
contendano il Bambino dagli occhi sempre Aperti che è il nome con cui i più
vecchi dei vecchi della prima storia, quella storia che ormai tutti hanno
dimenticato, chiamavano il senso di colpa. Anima nasconde il bambino nel grembo
e quando dorme, per non farlo scoprire, lo avvolge di fili di trama lasciati
cadere dal sonno mentre compie il suo viaggio. Paura si nutre dei fili e segue
le tracce, attende che Anima ritorni per chiederle indietro il bambino. Anima
vorrebbe disfarsene ma non può. Senza quel bambino che le riempie la pancia di
notte, senza quegli occhi in cui specchia incertezze e il proprio assoluto non
senso, senza il sentimento di ciò che è nel mezzo fra vita e non vita (e non è
l’una e non è l’altra, ma potrebbe), senza la lotta con Paura che è l’abisso
che meglio conosce, non saprebbe che fare. E allora nasconde il bambino nel
fondo di sé. Ma Paura sa, perché è così che deve essere. Ritrova il
bambino e ride di iena felice e scodinzola con le molte code che le fanno
mantello e rotea gli occhi di giubilo e si gratta la pancia di pelo e fa tutte
le cose che fa Paura quando è felice.
Ma non lo porta via.
No.
Lo lascia perché sa che Anima è una buona
madre e che ne ha bisogno per reggersi sempre in bilico fra vivere e morire,
soffocando la colpa e morendo di lei, tutto insieme, e non si sa, almeno fino
alla fine, se sarà l’una o l’altra cosa (e né l’una né l’altra, ma questo non
potrebbe).
Che volete che sia un misero giudicante,
un porta bandiere, un timoroso di altari ai piedi del nulla, uno già sazio,
pasciuto, appagato di finti timori al più irritanti come le mosche di inverno
che, sopravvissute per caso, si godono ancora quel poco di tempo?
Che volete che sia un misero giudicante
spoglio di sé, un albero rinnegato dalle sue stesse foglie, un albero calvo già
in gioventù e che seppur causa del suo mal non lo si vedrà mai piangere su se
stesso?
Ditelo voi, se avete scontato tutto, se
vi siete salvati, se vivete e come vivete senza il Bambino dagli occhi sempre
Aperti che nello sguardo porta con sé la possibilità di smarrirvi, l’unica
possibilità che davvero vi è data.
1 commento:
Introspezione gaudente.
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