mercoledì 25 novembre 2009

RESISTANCE – SOUNDPOST - musica per Re- Esistere


Re-Esistere: naturale associazione di senso per recensire questo CD dei Soundpost, musicisti invisibili, forse uno solo che si traveste da gruppo, forse due a far finta di essere uno solo, non si sa.
Sembra che l’etichetta discografica che li produce sia più libera che indipendente, ma anche di questo non c’è certezza assoluta.
Voci dal sottosuolo (sic!) mi hanno raccontato che non si tratta di un mistero a fini commerciali, piuttosto di una posizione a favore della musica, del suo essere fluido, libero. E così ho scaricato il disco da Itunes, su consiglio di un amico, a sua volta consigliato da un passaparola senzaverso, che si sa i passaparola non hanno mai una direzione univoca, a volte tirano dritto e altre tornano sui loro passi, sempre allegri e scarsamente inclini ad una meta. E poi mi sono detta perché non scrivere un post sui Soundpost? Facile a dirsi. Quando leggo le recensioni della critica musicale finisco con il perdermi nel mood, nel sound, e in quelle parole che alla fine, oltre al senso, hanno perso anche il suono e per la musica questa è davvero una tragedia.
Allora ho cercato le assonanze: e Resistance è un disco per scivolare, per cambiare discorso, per respirare, re-esistere, appunto. Se dovessi descriverne il ritmo, direi che è un gerundio, un battito d’ali; se alla musica chiediamo l’impossibile, che ci porti via, lontano per qualche minuto, Resistance ci riesce benissimo.
Sono appena atterrata da questo bellissimo disco volante e vi invito a volare.


RESISTANCE – SOUNDPOST. Música para Re-Existir
Re- Existir: natural asociación de sentido para reseñar este CD de los Soundpost, músicos invisibles, quizás un solista que se disfraza de grupo, quizás dos a simular ser un solista, no se sabe. Parece que la etiqueta discográfica que los produce sea más libre que independiente, pero también de este no hay certeza absoluta.
Voces del subsuelo, (¡sic!) me han contado que no se trata de un misterio a finos comerciales, más bien de una posición a favor de la música, de su ser fluido, libre.
Y así he descargado el disco de Itunes, sobre consejo de un amigo, a su vez aconsejado por un correr de la palabra sinformanirumbo, que se sabe cuando la palabras corren no tienen nunca una dirección unívoca, a veces tiran recto y otras vuelven sobre sus pasos, siempre alegres y poco predispuestos a una meta.
¿Y luego me he dicho por qué no escribir un post sobre los Soundpost?
Fácil a decirse. Cuando leo las reseñas de la crítica musical acabo de con el perderme en el mood, en el sound, y en aquellas palabras que al final, además del sentido, también han perdido el sonido y por la música ésta es de veras una tragedia.
Entonces he buscado las asonancias: y Resistance es un disco para resbalar, para cambiar de tema, para respirar, re-existir, claro. Si tuviera que describir de ello el ritmo, diría que es un gerundio, un latido de alas; si a la música preguntamos lo imposible, que nos llevas fuera, lejano por algún minuto, Resistance lo consigue muy bien. Apenas he tomado tierra por este platillo volante y os invito a volar.

martedì 24 novembre 2009

Consiglio di classe

Consiglio di classe Istituto Omissis-
Classe I media sez. omissis
Roma 18 novembre 2009
Oggetto: riunione Consiglio di classe del 13 novembre 2009
Gentilissimi Genitori
All’esito del consiglio si informano i genitori, in particolare degli alunni maschi, che il corpo insegnante si è lamentato del comportamento poco disciplinato dei menzionati alunni durante lo svolgimento delle lezioni.
Pertanto si invitano i sig.ri genitori a sensibilizzare i propri figli al fine di consentire il migliore svolgimento delle lezioni senza interruzioni, nell’interesse dell’intera classe.
Certo della vs. cortese collaborazione, colgo occasione per porgere i miei più cordiali saluti.
Il rappresentante di classe
Sig. Omissis


Amore mio volevo dirti che devi avere pazienza, hanno perso la testa. Evidentemente stufa di essere riempita di pensieri morti è scappata su una petroliera, nessuno ne sa più niente e sono mesi che non scrive.

Adesso provo a sensibilizzarti.

Come coreuti (1) le tue professoresse hanno annunciato la tragedia, strappandosi le vesti davanti a giovani buoi scappati dalla stalla, loro così attente, democratiche, partecipative, assertive, educate, sicuramente laureate, messe lì a fare guardia, a programmare, a pianificare gli obiettivi formativi, ad individuare i criteri di valutazione, a selezionare gli indicatori di monitoraggio, a pesare i debiti, a confrontare i crediti, a misurare l’efficienza e soprattutto l’efficacia del processo formativo, e anche di quello didattico educativo, con particolare riferimento al profilo di socializzazione senza dimenticare quello, ancorché forse un po’ meno prioritario, dell’apprendimento e, se proprio butta male, a far volare i sette in condotta che con le buone o con le cattive qui si deve capire la funzione della scuola, la responsabilità educativa, l’autorità formativa, il compito di educare, di integrare, di socializzare, di condividere e di redimere qualunque fantasia, qualunque accenno di libertà, fosse anche solo il gesto distratto di mettere un piede fuori dal recinto.

Ti stai sensibilizzando almeno un po’? Dai proviamo.

Non capisci che lo stipendio arranca, la precarietà è nel ruolo ma anche senza ruolo, avendo questa ormai a tradimento acquisito il dono dell’ubiquità, i tagli alla scuola pubblica si annunciano fin dal mattino con le bidelle (si dice personale ATA, ata come ata, come bidelle) che sciabattono (2)  lungo i corridoi, l’intonaco cade a pezzi, speriamo che non piova, e non vedi le tue insegnanti svolazzare in sala professori, catturate dall’affanno di non sapere come maneggiare questi ragazzini (soprattutto i maschi), verso i quali, per sortilegio, non provano più nulla?
Deserto, isolamento, estraneità, come te lo devo spiegare? Han perso tenerezza, sensibilità, emotività, capacità di riconoscere, e sperano che l’integrazione, ma anche la partecipazione, benché quest’ultima sia stata sempre più pigra per natura, le liberi dal trascorrere del tempo, che otto ore sono in sé troppo durature quando l’amicizia è parola scandalosa.

Bene, poiché credo che almeno un po’ tu ti stia sensibilizzando, ti racconto come è andata.

Ad un certo punto stanche del chiasso, di quella tramontana che come figli del vento trascinate ogni giorno in classe per far cambiare l’aria, e non sapendo come scappare dalla gabbia hanno convocato un bel Consiglio(3) di classe, luogo della democrazia partecipata, della crescita dal basso, delle decisioni condivise, dell’integrazione, della partecipazione, della socializzazione, dell’avvicinamento dei punti di vista, e per dirla tutta, spazio per fare chiarezza, per sgombrare il campo, mettere al centro i problemi, individuare il colpevole, votare democraticamente all’unanimità il passaggio di palla e, con un certo sollievo, scaricare il barile.
In quel clima di rarefatto galateo che rende agevole il girare intorno ai discorsi particolarmente attenti, prudenti, al limite insinuanti, muovendosi guardinghe sempre dentro la misura, nei margini, fra le due righe, hanno lasciato che la verità passasse sotto traccia, clandestina alla possibilità delle parole che in quei territori si formulano nella neutralità, nell’equilibrio, nell’equidistanza.
Al Consiglio ha partecipato (e come poteva mancare) un rappresentante dei genitori, elemento democratico partecipativo condiviso messo lì a dare voce a tutte le sacre famiglie, che come dovresti sapere vanno integrate nella scuola e la scuola, anche lei, va integrata nella famiglia, elemento successivamente indotto a firmare, per spirito di servizio, l’informativa finalizzata alla tua sensibilizzazione con cui ha accettato, a testa china, anche la malcelata reprimenda verso le sacre famiglie, abbastanza disintegrate in tutto il resto.

Certo sarebbe stato un finale sorprendente se avessimo potuto beccare la verità in flagrante: se per rassegnazione, o per arrendevolezza si fossero tutti lasciati andare ai sentimenti, anche quelli più confusi, disordinati, quelli che alla fine ti ritrovi ubriaco e un po’ felice.
Se avessero detto, Bene signori siamo stanche, sarà colpa degli ormoni, del cambiamento climatico, del riscaldamento globale, ma davvero i vostri figli sono insopportabili: è vero sono solo 12, hanno solo 11 anni, sembrano piccoli, sembrano innocenti, sotto quei capelli arruffati, gli occhi pieni di sonno la mattina e ancora nessun falso rimpianto con cui fare i conti, ma sono così refrattari all’ordine, alla regola, la testa piena di fantasie, forse troppa bellezza, tutta quella meraviglia che hanno di riserva, che davvero non sai come togliergli il vizio e finalmente infilarli nel programma e se non nel programma, quanto meno nell’obiettivo formativo, e dico se non nell’obiettivo almeno in uno straccio, dico uno straccio di competenza di base.
Ma forse noi davvero non sappiamo più. Non sappiamo da dove ci arrivi tutta questa stanchezza, il senso di inutilità, forse è colpa di questa astrazione, questa gravosa immaterialità che ha reso il nostro esistere così estraneo, separato, e in quest’autunno troppo urbano perché ci si possa davvero accorgere delle ragioni delle foglie, vorremmo chiedervi se per favore potete scongiurare i vostri figli di fare meno casino.
Potete?


Note
(1) Amore, coreuta è uno dei 12 o 15 elementi del coro della tragedia greca, non è una parola brutta. Il capo dei coreuti si chiama corifeo, ma puoi fare a meno di ricordartene.
(2) Sciabattare, condursi nell’esistenza in ciabatte fuori dall’orario e dal luogo domestico, che immancabilmente produce uno sciabattio, rumore analogo a sciattume in movimento.
(3) Senti come finisce in iglio Consiglio, suono che non promette niente di buono a meno che non spunti dal cappello di un mago.

lunedì 23 novembre 2009

Alla bandiera rossa

Per chi conosce solo il tuo colore,
bandiera rossa,
tu devi realmente esistere, perché lui
esista:
chi era coperto di croste è coperto di
piaghe,
il bracciante diventa mendicante,
il napoletano calabrese, il calabrese
africano,
l'analfabeta una bufala o un cane.
Chi conosceva appena il tuo colore,
bandiera rossa,
sta per non conoscerti più, neanche coi
sensi:
tu che già vanti glorie borghesi e
operaie
ridiventa straccio, e il più povero
ti sventoli.
Pierpaolo Pasolini, Nuovi epigrammi (1958-59)

Por quien conoce sólo tu color,
bandera roja,
tú tienes que realmente existir,para que él exista:
quien estuvo cubierto de costras està cubierto de llagas,
el jornalero se converte en mendico,
el napoletano calabrese, el calabrese africano,
el analfabeta una búfala o un perro.
Quien apenas conocía tu color,
bandera roja,
está a punto de no conocerte màs, tampoco con los sentidos:
tú que ya te enalteces de glorias burguesas y obreras
vuelve a ser trapo, y lo más pobre
te flamee.

Traduzione non ufficiale di Mt@

martedì 17 novembre 2009

Proust e il portinaio

La vita si è infilata nei dettagli.
Questo è avvenuto a partire da Proust che solo per altri versi dovremmo ringraziare.
Quali versi? Quegli altri, ovviamente. Per farti capire: stavo scrivendo della vita che si infila, questo pensiero mi è venuto in macchina, prima, solo poco fa, dopo che avevo visto il portinaio, non so forse si dice portiere, e mi è venuto un gran disagio. Io ogni volta che lo vedo mi viene su una sorta di irritazione, vedi ho detto mi viene su, non ho detto provo o sento, forse è solo un errore di stile, ma intanto, a proposito di stile, subito dopo la parola disagio, ho dovuto sottrarmi ai suggerimenti informatici, che sono dettagli a loro modo dispendiosi, mollando una sberla all’antivirus che ad ogni piè sospinto, senti come suona bene sospinto, be’ dicevo ad ogni piè sospinto mi avverte di un attacco esterno, e poi ho dovuto zittire, letteralmente certo no, ma è come se, zittire dicevo il correttore ortografico e di stile, decliccando 20 flag messi a guardia, come una falange spartana sul dirupo delle Termopili, delle espressioni da evitare, delle frasi lunghe, della mancanza di leggibilità, delle forme della lingua parlata, delle parole brutte, di quelle ridondanti, dei paroloni, si c’è un flag anche per segnalare i paroloni, non mi chiedere come fa a distinguerli, forse se finisce in one allora il programma capisce che è un parolone, e per finire dell’uso errato, genericamente errato si intende, e del dialetto. Appena ho cominciato a scriverti dell’infilarsi nei dettagli e di Proust, che non era male come collegamento, almeno nelle intenzioni, per cadere un attimo sul portiere e sul disagio correlato, eccomi costretta a difendermi dall’applicativo di videoscrittura che allegramente se ne frega di Proust.
Poi uno dice che è disorientato.
Ti stavo dicendo del portiere o del portinaio, è una questione di suoni, scrivere è quasi sempre una questione di suoni, si fa musica nonostante tutto, per cui fra iere e naio cambia la melodia. Ci sono parole fredde, portiere è una di queste, parola da cui si è cavato il giudizio e anche il sentimento, se l’è mangiato come una pedina a dama, o se vuoi ha negato tutti gli altri sensi, soprattutto quelli volgari fatti dal popolo in secoli di tentativi, messi al mondo sulla schiena del portinaio. E’ la stessa differenza che c’è tra verduriere e verduraio, il linguaggio contemporaneo ha privilegiato la professione, ha demolito il mestiere che era un modo di non trascurare l’esistenza che ci stava sotto, e che anche ad uno sguardo poco attento si intravedeva nel modo di mettere le mani dietro la schiena ad aspettare al varco la giornata che non passa, mentre passano tutti gli altri, gli inquilini e i condomini, le stagioni appena fuori dal portone, e l’odore di cipolla fritta che impunito si infila in ascensore insieme al profumo della signora Rossi del secondo piano che sicuramente fa le corna al marito. Il mondo è molto più divertente se lo vedi dal punto di vista del portinaio, una rivelazione a cui mi sono aggrappata stamattina guardando il creato come un pipistrello scampato alla sventura della troppa luce.
Scrivo come una pazza eh?
Si, ma è Proust che ha iniziato se ti basta come attenuante presuntuosa, e ne siamo stati così sconvolti da mettere nei nostri programmi informatici tutti i sostegni e gli appigli per evitare lui e tutta l’insostenibile certezza dell’impossibilità, da quel momento in poi, di raccontare alcunché. Da quando Quello, si QuelloQuello, ha detto che Dio è morto, come un fiume in piena si è portato via anche le storie, quelle con un inizio e una fine, stelle raggruppate da linee immaginarie a fare forme compiute, il carro e le pleiadi, che se ti sbagli l’universo diventa illeggibile, come d’altronde è nelle attese se si vuole dare senso alla morte dell’Altissimo. Si anche Joyce, anche Joyce. Guarda potrebbe essere Joyce ad essersi adeguato per primo a Quello, non ha molta importanza individuare il primato della causa visto la brutta fine che ha fatto la Metafisica cercando di scappare alle inevitabili conseguenze preannunciate da Quello.
La questione, se mai, sta tutta in quel Da quel momento in poi.
Un conto è dire nel 1812 il giorno 19 di febbraio, un altro è affidarsi, costretti ovviamente, all’indeterminatezza di un gerundio, di un perdurare che ha avuto inizio in un momento qualunque. Se ci pensi bene ha la stessa portata del meteorite che è caduto sulla terra nel Giurassico (trovo che giurassico sia una parola magnifica) con la mutazione della specie in Sapiens Sapiens Indeterminātus in cui è la prospettiva vaga, vaga quanto basta, ad accogliere i destini dei sopravvissuti al disastro.
Per questo non ci capiamo più nulla, e questo va detto con l’orgoglio dei malcapitati a cui non rimane altro che una profezia come peccato originale.

mercoledì 11 novembre 2009

Vogliamo sapere la verità sulla morte di Stefano Cucchi


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La foto è si MP5 - Scarceranda, http://www.flickr.com/photos/7345946@N06/3947578963


mercoledì 4 novembre 2009

SPUNK

“E pensare” rispose Pippi con aria sognante , “pensare che sono stata proprio io a inventarla, io e nessun altro!
“Che cosa hai inventato?” s’informarono Tommy ed Annika […]
“Una parola nuova” rispose Pippi e guardò Tommy ed Annika come se li vedesse soltanto allora. “Una parola davvero nuova di zecca.”
“Che parola?” chiese Tommy.
“Una parola sensazionale” disse Pippi “una delle migliori che abbia mai udito.” “Diccela!” propose Annika.
“Spunk!” disse Pippi trionfante.
“Spunk?” ripeté Tommy. “Che cosa significa?”
“se soltanto lo sapessi!” esclamò Pippi. “di una cosa sono certa: che non significa aspirapolvere.” […] Annika disse: “Ma se non conosci il significato è una parola che non ti serve!”.
“E’ proprio questo che mi tormenta” esclamò Pippi […] “pensa un po’ che parole ti vanno ad inventare! ‘Tinozza’, ‘tassello’, ‘fune’ e suoni del genere, che nessuno riesce a capire dove sono andati a pescarli: ma spunk […] tutti se ne infischiano di andare ad inventarla. Per fortuna mi ci sono imbattuta io! E intendo andare fino in fondo alla ricerca del suo significato!”

Astrid Lindgren, Pippi Calzelunghe

Foto: archivio di Sergio Tedeschi - http://www.flickr.com/photos/sergiotedeschi/