giovedì 22 giugno 2017

Parole-chiave

Stavo pensando a questo: la scarsa capacità (e la pigrizia che l'aggrava) di ragionare e di esprimere un ragionamento è talmente diffusa che sempre più spesso, le persone quando cercano di esprimere ciò che pensano, si riferiscono a "parole-chiave". "Questa è la mia parola-chiave" dicono, oppure, "la parola-chiave è" e così via, sostituendo interi pezzi del discorso con parole-chiave che dovrebbero esprimere la sintesi di qualcosa che rimane implicito. Volevo timidamente far notare che i maestri nell'uso delle parole-chiave sono i bambini piccoli: pappa, cacca, nanna, sono l'intero mondo dell'infante.
Ecco. Ma dico, ce la facciamo a superare ste parole-chiave o no?

come ti faccio fuori Adam Smith

Come ti faccio fuori Adam Smith, una volta per tutte e senza perder tempo.

"Adam Smith ha applicato la sentenza della sua saggezza scozzese (avendo guadagnato poco, spesso vi riuscirà a guadagnare molto) anche alla ricchezza intellettuale e ha quindi, con meschina sollecitudine, tenuto segrete le fonti alle quali va debitore di quel poco da cui in effetti cava molto. Più di una volta egli preferisce troncare il problema là dove una precisa formulazione lo costringerebbe a fare i conti con i suoi predecessori. Così nella teoria del denaro. Egli accetta in silenzio la teoria dello Steuart, raccontando che l'oro e l'argento presenti in un paese sono trasformati parte in moneta, parte accumulati come fondi di riserva per i commercianti in paesi privi di banche e come riserve bancarie in paesi che abbiano una circolazione creditizia; parte servirebbe come tesoro per la compensazione di pagamenti internazionali, parte verrebbe trasformato in articoli di lusso. Egli elimina tacitamente il problema della quantità della moneta circolante (che dipende sempre dai prezzi delle merci ma Smith non lo aveva capito ndr), trattando il denaro del tutto erroneamente, come semplice merce."

K. Marx, il capitale, libro primo, appendiciCome ti faccio fuori Adam Smith, una volta per tutte e senza perder tempo.

"Adam Smith ha applicato la sentenza della sua saggezza scozzese (avendo guadagnato poco, spesso vi riuscirà a guadagnare molto) anche alla ricchezza intellettuale e ha quindi, con meschina sollecitudine, tenuto segrete le fonti alle quali va debitore di quel poco da cui in effetti cava molto. Più di una volta egli preferisce troncare il problema là dove una precisa formulazione lo costringerebbe a fare i conti con i suoi predecessori. Così nella teoria del denaro. Egli accetta in silenzio la teoria dello Steuart, raccontando che l'oro e l'argento presenti in un paese sono trasformati parte in moneta, parte accumulati come fondi di riserva per i commercianti in paesi privi di banche e come riserve bancarie in paesi che abbiano una circolazione creditizia; parte servirebbe come tesoro per la compensazione di pagamenti internazionali, parte verrebbe trasformato in articoli di lusso. Egli elimina tacitamente il problema della quantità della moneta circolante (che dipende sempre dai prezzi delle merci ma Smith non lo aveva capito ndr), trattando il denaro del tutto erroneamente, come semplice merce."

K. Marx, il capitale, libro primo, appendici

(così può andare?)

Oggi ho parlato con tanti amici. Dovrei dire amiche e amici, ma come sa chi mi conosce, io non mi piego al differenziale di genere. Che dire? Grazie. Grazie della fiducia che riponete in me, donandomi le vostre gioie, e i guai. Quanti guai! Proprio come me.
Mi piacete tutti, indistintamente. Vi trovo fantastici, pasticcioni, confusi, bisticcioni, e coraggiosi, e così impegnati nelle vostre esistenze. Chissà se riesco nelle nostre lunghe telefonate, o nelle chat, nelle mail, o quando solo ci parliamo nel pensiero, chissà, dicevo, se riesco mai a farvi capire che siete importanti, che mi fate un gran servizio nel liberarmi di me stessa dandomi così tanto di voi. Troppo enfatico? Troppo melodico? Riduco i toni? Va be', volevo solo dirvi che mi siete molto simpatici. (Così può andare?)Oggi ho parlato con tanti amici. Dovrei dire amiche e amici, ma come sa chi mi conosce, io non mi piego al differenziale di genere. Che dire? Grazie. Grazie della fiducia che riponete in me, donandomi le vostre gioie, e i guai. Quanti guai! Proprio come me.
Mi piacete tutti, indistintamente. Vi trovo fantastici, pasticcioni, confusi, bisticcioni, e coraggiosi, e così impegnati nelle vostre esistenze. Chissà se riesco nelle nostre lunghe telefonate, o nelle chat, nelle mail, o quando solo ci parliamo nel pensiero, chissà, dicevo, se riesco mai a farvi capire che siete importanti, che mi fate un gran servizio nel liberarmi di me stessa dandomi così tanto di voi. Troppo enfatico? Troppo melodico? Riduco i toni? Va be', volevo solo dirvi che mi siete molto simpatici. (Così può andare?)

Unpoquiunpola' e supergiú

Ci risiamo,  l'ennesimo attentato rappresenta l'occasione per un altro giro di giostra: edizioni tg da 48 ore l'una, dichiarazioni di cordoglio da ogni campanile, ministri contriti, moniti severi dai capi di stato, livelli di allerta che si alzano ma che in realtà non sono mai diminuiti e che a dire il vero non servono a nulla; e poi il solito richiamo al prossimo imminente attentato a ridosso dell'ultimo, perché, diciamocelo francamente, è così facile prevedere l'attentato del giorno dopo rispetto a quello che accadrà  di nuovo, sicuramente, ma non si sa quando. A voler essere cinici, considerato che gli attentati si spargono un po' qui è un po' là, ogni tre mesi su per giù, si potrebbe dunque calcolare il tasso di produzione di kamikaze su base annua.
E a voler far conto di questa ipotesi, non ci sarà nessun attentato nei prossimi giorni. Certo quell'unpoquiunpolà e supergiù dà fastidio.
E poi. Dal momento del lancio in TV dei primi servizi, comincia la sequela degli opinionisti, sempre gli stessi, chiamati a dare le stesse opinioni, manco a farlo apposta. D'altronde quell'unpoquiunpolà e supergiú impedisce di formulare un quadro chiaro per i nostri esperti TV, i quali colgono l'occasione per rispolverare quello che hanno già detto due o tre mesi fa rispetto alle possibili cause (troppe), e alle soluzioni (su cui non c'è ancora un vero accordo).
Finalmente, durante la giostra e con sollievo generale, nel punto esatto richiesto dalle tragedie, entra in scena l'attentatore.
Noi spettatori, condotti mano a mano sempre più a fondo nel dramma, veniamo sorpresi dalla rivelazione del colpevole.
Eccolo, diciamo!
Ed è un coro di singolarità mute davanti alla TV.
Certo è una tragedia a suo modo deludente. Ormai così prevedibile. Il kamikaze assomiglia al precedente, come se la produzione teatrale avesse finito i soldi. Sempre un po' smunto, triste, troppo giovane per recitare la parte del male.
Una maschera, mica un attore vero, un comprimario buono solo per far da spalla alla bomba che lo ha sparato tragicamente dentro la nostra vita.
Che vi aspettate?
È la solita replica dello spettacolo del unpoquiunpolà e supergiú ogni tre mesi, lo avete già visto una decina di volte, questo passa il convento.
Ormai penso che questa giostra sia un fattore di crescita del Pil. L'economia ringrazia.
Il clima di terrore è lo stimolo dell'offerta di sicurezza, che punta sul settore  dei media, che rivitalizza il comparto degli esperti, che dà man forte alla politica, la quale non vedeva l'ora, in generale.
E in ogni caso, è un fattore correttivo dell'inflazione.
Per qualche giorno spendiamo meno, si chiama fattore-lutto di massa.
E se la borsa subisce qualche scossone, è cosa di qualche ora, subito si assesta sui normali livelli di indifferenza al mondo reale.
Da parte mia cercherò di stare  lontano da quell'unpoquiunpolà e quel supergiú fra due o tre mesi, e dico a quel ragazzo triste e smunto che ci aspetta al varco, che lo sappiamo già che il male è banale.

Io amo Gentiloni

E' domenica pomeriggio (anche se sto ancora lavorando), e forse per questo indugio al sentimentalismo.  Io voglio dire questo: io AMO GENTILONI.
Lo amo per il suo essere così rasserenante, il suo camminare felpato (avrà le pattine sotto le scarpe, mi chiedo), quel parlare quasi sottovoce che mi costringe sempre ad alzare il volume della TV, il suo sguardo gentile, che muove da quel piegare il viso un po' di lato, una mossa timida, ritrosa, che sembra ti chieda se sei d'accordo su quello che sta affermando, e magari, suo malgrado credo, ti sta piantando la più grande fregatura fiscale, e tu, con il telecomando in mano, la testa un po' piegata nella stessa direzione, speculare certo, dici sì, certo, hai ragione Paolo.
Questo suo presenziare senza l'ombra di presenzialismo o vanità, mai sopra le righe (ma nemmeno sotto), usando parole semplici, sintassi non ricercate, pochi incisi, mentre plana (e tu insieme a lui su un tappeto volante), verso il sorriso finale, che è corto, un accenno, non per parsimonia dei gesti, ma per garbo. Questione di stile, di grazia istituzionale.
Guardate sono 20 anni che siamo sollecitati da presidenti problematici, vanitosi, litigiosi, e sprezzanti. L'ultimo poi, il ragazzino vanitoso, ci ha costretti a seguirlo nel suo dinamismo finto, perché in realtà è solo rumore autocelebrativo. Le chat, le slide, i tweet, le faq, il nulla.
Ecco IO AMO GENTILONI perché è l'esatto contrario, catapultato per caso a governare questa carretta, sta cambiando lo stato d'animo di questo paese, lo ha sottratto dalle continue e malevole sollecitazioni mediatiche del ragazzino che avevamo prima, e che non sa fare altro che scalpitare.
Che lezione stai dando a tutti noi Paolo.
Io ti amo!
(Politicamente eh!)

Folla

È un girone di arrabbiati questo mondo. Arrabbiati e matti. Piegati sul telefono o camminando con l'aggeggio all'orecchio, blaterando frammenti e tanti insulti. In macchina poi, è tutto un gesticolare improperi di varia guisa e foggia, un alternarsi degli alterchi verso chi guida davanti e non si cura. Perché  viviamo sempre nel mezzo di qualcosa ed è tutto un intralcio. C'è tanto rumore, sordo di macchine sempre accese e marmitte esauste, fra clacson che impazienti sfogano rabbia contro i semafori, i pedoni, gli autobus, fra sciami inesauribili di motorini che zizagano a tradimento. Qui seduta su un frammento di marciapiede guardo il cielo che è tondo e umido, indifferente al tramonto.
Ora mi butto e torno folla.