Il dibattito sulla cultura identitaria della
sinistra, quell'ambito politico che riflette a partire dalla rappresentazione
di sé, sembra essere la conseguenza più negativa di un abbandono del campo di
significati che costellano il comune, ciò che autenticamente fonda
l'appartenenza.
Gli ordini con cui il liberismo e il riformismo
(quello di sinistra) dividono e declinano gli individui e le loro relazioni in
identità classificabili e riconoscibili, tra cui quelle dei consumatori, dei
lavoratori, dei risparmiatori, degli imprenditori, della gente del nord e di
quella del sud, degli italiani e degli immigrati, si rappresenta speculare alla
spasmodica ricerca di un approdo dopo il naufragio delle idee.
La questione della difesa dei lavoratori ha mancato
l'osservazione della condizione esistenziale nel Lavoro, lasciando che
l'agitazione intorno alle necessità imposte dal sistema globalizzato avesse la
meglio sulla debolezza delle nostre posizioni, avendo per primi abbandonato la
finalità unificante della prima persona plurale.
E che dire dei pacifisti, degli ambientalisti, dei
non violenti ma non del tutto pacifisti, dell'ossessione per la cultura della
differenza relativamente al genere, all'orientamento sessuale, ai diversi femminismi,
in una pervicace dissociazione che, pur di determinarsi, ha perso tutte le occasioni per coniugarsi
nel Noi.
Le identità che nella rappresentazione positiva di se
stessi diventano le "anime plurali della sinistra" e che certamente
potevano vivificare l'indirizzo politico, si sono progressivamente ridotte ad
una individuazione schizoide e perciò fatalmente separata dal tutto, dando un
luogo alle politiche dell'orto e del cortile.
Penso (nel fatale riflessivo del
pensare) che l'identità presenti caratteristiche inconciliabili al plurale,
inizia e si compie nel proprio intorno e ha il solo vantaggio di consolare
nella conferma di un linguaggio che diventa gergo di pochi, incapace di
considerare gli aspetti mortiferi del suo movimento.
Nessun commento:
Posta un commento