martedì 4 giugno 2013

Elogio del ventaglio


Scritto con Sus nel 2006


Qualche riga in più di me, per raccontare della mia solitudine infinita.
Delle ingiustizie subite dalla mia esatta innocenza e di tutte le inutili sovrastrutture dedicate alla mia grazia, massacrata.
Io sono bellissimo. Mi apro e mi chiudo. Come il respiro, come una fisarmonica, come un occhio, come me. Ma mi usano.  Io mi apro e mi chiudo da solo, non c'è bisogno che altri lo facciano per me, con quella violenza, con quell'indifferenza, con quelle intenzioni, e con quel nervosismo se quando mi chiudono non mi rimetto tutto a posto. Io sto lì immobile, e se mi si guarda davvero è evidente che io mi apro e mi chiudo, non c'è bisogno di aprirmi e di chiudermi per saperlo. Nella mia apparente immobilità ci sono tutte le aperture e le chiusure del mondo.
Va da sé che io abbia questo eccellente bisogno di amore, come tutto e come tutti. Va da sé che io non voglia essere usato. Io voglio essere assecondato. Lo scopo di un ventaglio sono semplicemente io, il ventaglio. Se uno mi apre e mi chiude non può farlo secondo i suoi criteri, o secondo i criteri di qualcun altro, o di qualche altra cosa. Deve farlo secondo i miei. Assecondando le mie aperture e le mie chiusure. Deve sentirmi, sentirmi che mi apro e che mi chiudo, e seguire il movimento. Basterebbe che mi guardassero per quello che sono (io sono un ventaglio, sono un miracolo) e io mi sentirei amato, e se finalmente mi sentissi amato, mi lascerei usare. E se mi lasciassi usare, e non rifiutassi l'uso che si fa di me, nascerebbe, tra me e l'usante, una collaborazione perfetta. Una coesione.
E avrei mille altre cose ancora da dire su di me. E non è escluso che lo faccia.
Però tu (mi interessa fondamentalmente questo).
Vorrei che provassi a guardarmi in questo modo, la prossima volta.
E chi lo sa?
puh!
(è il suono che faccio quando sono contento)


Caro Ventaglio, 
ti scrivo turbata dal tuo palesarti più innocente di quanto credevo e nella colpa di averti frainteso.
E' vero, sei senz'altro perfetto nel tuo librarti di mezza ala al semplice assecondarti, nel richiamare vento sui visi accaldati dal riso di donne distratte di poco ozio, nel nasconderne appena i pensieri sconvenienti lasciando che il presagire si affacci dalla tua anima infiorata.
Sei bello ritirato in te stesso, chiuso a soffietto dei dieci soffi che riesci a trattenere per aprirti di un colpo se decidi che è tempo.
E' il tuo danzare che turba e infastidisce ai miei gesti tesi, roteato e brandito  come la muleta del toreador, il corpo di donna è una spada che dietro di te si nasconde per colpire quando la sorte è decisa.
Come la vanità fai spesso una brutta fine, appeso nell'immobilità di un'apertura sofferta a mostrarti nei negozi di souvenir, o fissato per sempre, così  triste,  nella cornice di quadretti di cucina.
Povero te, ventaglio, povero te che non ti ho capito incontrandoti per sbaglio, le  mani sudate e maldestre a tenerti e tu non ridi.
Tu con me non ridi.


Io con te rido. Ma tu non ti vedi ridere. Se non ti vedi ridere, non vedi me che ti rido.
Io ti vedo ridere e con te rido, se guardi me che ti vedo ridere e rido se ti guardi ridere.
Io lo so che tu sei un sorriso.
Grazie per avermi scritto.
Ne sono molto fiero.
V

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