FIGLI DELLE STELLE
La mia è stata una generazione surreale. Forse non è nemmeno esistita, almeno non nel senso esatto
del termine. Quella generazione che oggi corre, senza fiato né allegria,
verso i 50 anni, si è cristallizzata nel riverbero perché altri luminari
avevano solcato il cielo e c’era troppa luce. Abbiamo attraversato tutte le storie, le storie degli altri,
la guerra, la liberazione, la libertà, e ci siamo nutriti di tutte le ideologie
degli altri, il comunismo, il fascismo, il capitalismo, l’economia di stato. Ci
ha accompagnato negli anni un acuto senso di inadeguatezza per non aver vissuto
nessuna storia degna, se non nel riflesso, e per non aver prodotto alcuna
concezione del mondo se non nella misera rifrazione che restava: altri avevano
combattuto, altri avevano pensato al posto nostro.
Una generazione di adattati, catapultati oltre l’orizzonte
del dissenso, costantemente esposti allo stordimento di due campane.
Abbiamo vissuto surrealmente, procedendo a tentoni in quel
territorio che non ha bisogno di creazione né di atti di volontà, che di per sé
è onirico senza fare del sogno una superstizione o un valore. Una generazione
a cui tutto era già stato rivelato, nessuna profezia al confine, in un
ineluttabile e noioso, democratico, partecipativo, condiviso, giusto, equo e
solidale, tecnologico e soprattutto ecologico benessere.
Una generazione che ha concepito il suo destino nella
conciliazione e non c’è nulla di più surreale di un accoppiamento di
compromessi, di un abbinamento improbabile fra gradazioni di idee sempre più
scolorite, di una mediazione che si tiene ben lontana da qualunque precipizio in cui finalmente cadere.
Una generazione che invece delle barricate ha inventato i
tavoli: si accomoda ai tavoli tecnici, ai tavoli di coordinamento, ai tavoli di
trattativa, ai tavoli per il centro e la periferia, ai tavoli per le donne, a
quelli per i gay, lesbo, trans, e cripto sex, ai tavoli per i diritti degli
immigrati e a quelli contro i diritti degli immigrati, ai tavoli per i lavoratori
e ai tavoli del ma anche no, perché pure
quel tavolo lì ha il suo perché. Ai tavoli dove in qualche modo, come è uso dire, non si è risolto nulla ma almeno,
sempre in qualche modo, si è
avviato un dialogo.
Una generazione che ha superato la dialettica con un bel
balzo nella fuffa, quel pensare a vuoto che non approda, non finisce e
ricomincia, si annega nella pianificazione, negli obiettivi, insegue la realtà
con il monitoraggio degli indicatori, e concepisce negli standard la sua
visione del mondo, su cui fonda un surrogato dei superatissimi (novecenteschi,
direbbe qualcuno) paradigmi del bene e del male, ridotti ormai a neutri criteri
su cui al più organizzare un altro tavolo.
Una generazione di sfaticati da stress, curato con i
seminari di comunicazione e un giro di shopping on line.
Ho fatto pace con la mia generazione, perché ormai è vecchia
e nessuno avrà bisogno di ricordarla né per gli atti di eclatante vergogna, né
per l’immortalità dei suoi successi.
Ho fatto pace con la mia generazione perché sono certa che
non sia mai esistita.
Ma ho provato gioia ieri sera al cinema con il bellissimo e
intelligente “Figli delle stelle”, un film in cui sei scalcagnati e furibondi
della mia specie si ritrovano a dissotterare una vecchia trama per rubarne il
finale. E’ una parodia esatta di quelli come me, quelli fregati dalla Storia
che per surreale benevolenza si fa toccare per un istante la coda, come
una cometa che attraversi inattesa il nostro cielo.
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