venerdì 11 dicembre 2009

CRONACHE DI UNA ZINGARA

GIOVANNA DA FORZA, CRONACHE DI UNA ZINGARA NELLA LOMBARDIA DEL ‘600

di Enrico Masci


Leggendo un curioso racconto di cronache italiane del ‘600 raccolte e commentate da Andrea Zanardo, si ha la conferma di come la percezione nei confronti degli zingari non sia mutata nel corso dei secoli. Questo racconto dal titolo “Cingari, Bravi, Soldati di Ventura nella Lombardia Spagnola” raccoglie oltre a una serie di bandi, editti, grida e cacce all’uomo, aventi come oggetto gli zingari, o “cingari” come venivano chiamati allora, anche interessanti documenti personali quali, passaporti e salvacondotti rilasciati dalle autorità dell’epoca.
Risulta interessante rilevare come, a fronte di prestazioni a valore aggiunto e nella fattispecie quelle svolte dai Soldati di Ventura, l’atteggiamento delle classi dominanti divenisse rispettoso, anche nei confronti dei cingari, arrivando a premiare i vari servigi resi con apprezzabili vantaggi sociali.
In questo ‘600 italiano, le condizioni igieniche malsane e la pessima alimentazione portavano a periodiche epidemie di peste. Già a partire dal secolo precedente, gli zingari venivano accusati di diffondere il morbo, di “portare il male” a causa del loro stile di vita promiscuo, nomade e libertino (interessante questo aspetto riguardante le abitudini sessuali) e per questo furono condannati a lasciare il Ducato di Milano (1506).
Agli inizi del Seicento il cardinale Federico Borromeo, quello dei Promessi Sposi per intenderci, è responsabile della persecuzione di donne accusate di essere “strigae”, incolpando inoltre “quei vagabondi che vengono chiamati cingari” di rapire i bambini cattolici. Leggende come questa erano diffuse anche tra i letterati e gli uomini di cultura e accuse simili toccavano tutte le minoranze, primi fra tutti gli ebrei, accusati di compiere gli stessi crimini efferati.
Tra queste cronache italiane, particolarmente significativa è la vicenda di una zingara che ebbe risalto e notorietà in tutta la Lombardia.
Giovanna da Forza nasce a Novara nel 1639, sposa lo zingaro e “Soldado de Ventura” Ambrogio Cazzaniga che grazie alla sua professione riceve dal Governatore di Milano il “libre Passaporte [...] y que no pueda ser molestado”. In questa cronaca si manifesta subito un aspetto interessante che caratterizzerà la storia degli zingari nel nostro paese, cioè la legittimità della loro presenza elargita attraverso un riconoscimento sancito dai poteri forti e la conseguente persecuzione fisica esercitata in sua assenza. L’Italia quindi risulta un paese europeo storicamente assai coerente.
Nel 1675 anche i figli di Giovanna e Ambrogio ottengono un “libre Passeporte”, in cui Giovanna viene definita “de Nacion Gitana”. Il significato di questo frammento cronachistico è notevole. La nazione gitana è chiaramente un’invenzione, tuttavia esprime la necessità di classificare un popolo non aderente ai canoni, arrivando ad immaginare un’ipotetica nazione con cui relazionarsi. Nonostante i limiti, questo approccio oggi sarebbe considerato eretico e surreale, anche se è capitato di vedere, in un documento della Repubblica Italiana rilasciato ad uno zingaro nel 2006, una fantomatica “Cittadinanza Slava”.
Nel 1681 la famiglia di Giovanna viaggia attraverso la Lomellina e la Brianza assieme a una quarantina di altri cingari, tra essi sei soldati di ventura di cui uno, Giovanni da Giussano si era distinto nella campagna d’armi presso la città di Tortona. La storia è in grado di offrire aneddoti insperati infatti, la famiglia “da Giussano”, da cui prende il nome la cittadina lombarda, ha come illustre antenato il leggendario Alberto, capitano della Compagnia della Morte ed eroe della Battaglia di Legnano del 29 maggio 1176 combattuta tra i Comuni lombardi e l'imperatore Federico Barbarossa. Si deve ammettere che registrare tra i discendenti dell’eroe della Lega un valoroso zingaro riconcilia con il pregiudizio razzista, per mezzo dell’ironia insita nelle esistenze.
Le cronache d’epoca continuano a segnalarci la presenza assidua di questa famiglia allargata presso i mercati di Melzo e Settala. Nel 1694 viene conferito alla ormai 55enne Giovanna da Forza un salvacondotto di alto profilo, che le dava diritto di viaggiare con la sua famiglia “per tutte le terre del Ducato senza venire molestata”. L’autorità che questi documenti conferiscono a Giovanna da Forza, fa ragionevolmente supporre che la stessa avesse diritto di rappresentare i suoi numerosi parenti nelle mansioni più qualificate come, il supporto logistico delle carovane che spesso erano al seguito delle truppe, le trattative politiche per gli insediamenti temporanei e i percorsi di attraversamento, le negoziazioni con i nobili lombardi per il recruitment delle truppe, l’approvvigionamento e cosi via.
Alla fine di questa rumorosa esistenza tra soldati, bambini, carovane, parenti, nobili, preti e nipoti, Giovanna poteva contare in un numero impressionante di passaporti e salvacondotti intestati a lei e attraverso di lei alla sua famiglia: una vera matriarca (ad esempio di suo marito Ambrogio non si registrano altri permessi a parte quello ottenuto prima delle nozze).
Mentre in precedenza i cingari uomini, in qualità di capifamiglia, ottenevano passaporti e licenze di transito, nel ‘600 tali licenze venivano concesse anche alle cingare. Fra le altre si può ricordare Cecilia Pallavicino, che nel 1681 si spostava liberamente tra la Germania e l’Italia. Risulta evidente che nel XVII secolo molte donne cingare lombarde iniziavano a svolgere un lavoro fondamentale: la gestione del rapporto con le autorità gagè (i non zingari) e che questo nuovo incarico difficile e tutto politico venne a trasformare molte donne zingare lombarde nei capi delle loro famiglie.
Cosa sia rimasto oggi di tutto questo è difficile da valutare, forse romanticamente è rimasto qualcosa nella laboriosità e nell’intraprendenza femminile lombarda. Certo è che, nonostante le condizioni ambientali notevolmente avverse, Giovanna da Forza, donna, straniera e diversa, fu in grado di conquistare prestigio tra i suoi cingari e grande rispetto tra i gagè. Peccato si tratti di una storia di 4 secoli fa.



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